15 set 2008

Il Silenzio del Sud e... mormorii vari

Buona domenica a tutti.
Di seguito l'editoriale uscito oggi sul Corriere che l'amico Duccio mi ha invitato a leggere e commentare. Lo riporto per sottoporlo all'attenzione ed alla lettura di tutti. Di seguito, alcuni commenti caro Duccio, al quale spero vorrai contribuire come tutti gli amici di questa newsletter. Emilia

Il silenzio del sud, di Ernesto Galli Della Loggia


«Esiste una questione meridionale e nella scuola italiana? Temo proprio di sì (…). L'Europa non boccia l'Italia e i suoi quindicenni (…) ma boccia il Sud e le Isole, assai indietro rispetto alla media europea mente il Centronord la supera nettamente. (…) Le fredde statistiche rivelano un fenomeno inedito: un abbassamento della complessiva qualità scolastica nel Sud. Nel passato, in piena "questione meridionale" generale, un liceo o una scuola elementare di Napoli aveva in genere un livello analogo alle consorelle milanesi. Oggi non è più così». A parlare in questo modo non è il ministro Gelmini, il ministro della «solita destra italiana». No. E' un esponente di antica data della sinistra come Luigi Berlinguer, tra l'altro un ex ministro dell'Istruzione, in un articolo di rara onestà intellettuale pubblicato sull'Unità del 29 agosto scorso. Articolo che però, abbastanza sorprendentemente, non ha provocato neppure la più blanda protesta da parte di quella legione di politici, professori e intellettuali che invece solo pochi giorni prima si erano stracciati le vesti per le cose più o meno analoghe dette dal responsabile attuale dell'Istruzione, il ministro Gelmini di cui sopra, seppellita sotto una valanga di vituperi per il suo supposto razzismo antimeridionale. Il fatto è che dovremmo prendere atto tutti, una buona volta, di alcuni dati di fatto. Non solo di quelli ormai notissimi delle rilevazioni Ocse-Pisa, ma anche, per esempio, della circostanza, che negli ultimi 7-8 anni i migliori piazzamenti nelle varie olimpiadi di matematica, informatica, fisica o nei certami di latino, ecc. organizzati internazionalmente, li hanno ottenuti quasi sempre studenti dell'Italia settentrionale. Così come dovremmo chiederci perché mai, di fronte a questi risultati, accade però che la maggiore concentrazione dei 100 e lode all'esame di maturità delle scuole italiane si abbia proprio in Calabria e in Puglia, o che le più alte percentuali di punteggi massimi si registrino in una scuola di Crotone (ben 34 «100 e lode »!) di Reggio Calabria (28) e di Cosenza (21), mentre i Licei Mamiani e Tasso di Roma si devono accontentare di appena due, e rispettivamente un solo, 100 e lode. Geni in erba a Crotone e geni incompresi a Friburgo o ad Amsterdam? Andiamo! E forse dovremmo pure chiederci come mai il Friuli, regione che pure fa segnare la percentuale di 100 e lode più bassa fra tutte le regioni d'Italia, veda invece poi i suoi studenti, nell'ultimo quinquennio, fare incetta di premi nelle più varie competizioni.
E' fin troppo evidente che questo insieme di dati tira pesantemente in ballo non solo la realtà scolastica ma l'intera realtà sociale del Mezzogiorno. Ne parla del resto, senza peli sulla lingua, lo stesso Berlinguer nell'articolo citato: «Gli enti locali nel Centro- nord hanno fatto in questi decenni cose straordinarie per la scuola, egli scrive (…), nel Sud tutto questo o è episodico o non c'è. Nel Centro-nord la scuola è tema che influenza le scelte dell'elettorato locale, che stimola così gli amministratori. Al Sud o è episodico o non c'è». Insomma la società meridionale presta scarsa o nulla attenzione alla sua scuola, alla qualità dell'insegnamento, perché evidentemente non le considera cose molto importanti.
Le famiglie, più che alla sostanza sembrano guardare all'apparenza dei «bei voti» comunque ottenuti. E quando la verità comincia a venir fuori — com'è per l'appunto accaduto con la sacrosanta denuncia del ministro Gelmini — allora la reazione generalizzata è quella del perbenismo indignato, del ridicolissimo «ma come!? noi che abbiamo avuto Croce e Pirandello!»: nella sostanza, cioè, è il fingere di non vedere, di non capire. E' il silenzio.
Un sostanziale silenzio sulle condizioni del proprio sistema scolastico che appare come un aspetto del più generale silenzio del Mezzogiorno. Un Mezzogiorno che ormai da anni ha cessato di parlare di se stesso e dei suoi mali, che da anni ha messo volontariamente in soffitta la «questione meridionale», che sembra ormai rassegnato a fingere una normalità da cui invece è sempre più lontano. E così la spazzatura copre Napoli, la scuola del Sud è quella che abbiamo visto, intere regioni sono sotto il dominio della delinquenza, in molti centri l'acqua ancor oggi viene erogata poche ore al giorno, i servizi pubblici (a cominciare dai treni) sono in condizioni pietose, il sistema sanitario è quasi sempre allo stremo e di pessima qualità, ma il Sud resta muto, non ha più una voce che dica di lui. Unica e isolata risuona la nota dissonante di un pugno di scrittori e di saggisti coraggiosi come Mario Desiati, Marco Demarco, Gaetano Cappelli, Adolfo Scotto di Luzio di cui sta per uscire il bellissimo «Napoli dai molti tradimenti». Sì, l'opinione pubblica meridionale, specie quella del Mezzogiorno continentale, nel suo complesso latita, è assente. Mai che essa metta sotto esame, e poi se del caso sotto accusa, i suoi gruppi dirigenti locali di destra o di sinistra che siano; mai che crei movimenti, associazioni, giornali, che agitino i temi della propria condizione negativa; mai che da essa vengano analisi sincere, e magari (perché no?) autocritiche, dello stato delle cose e dei motivi perché esse stanno al modo come stanno.
Soprattutto sorprendente e significativo (eppure si trattava della scuola, dell'istruzione, santo iddio!) è apparso nei giorni scorsi il silenzio — o, peggio, l'adesione alla protesta perbenistico-sciovinista — da parte di tanti intellettuali. E' stata la conferma di un dato da tempo sotto gli occhi di tutti: che proprio la cultura meridionale, ormai, non si sente più tenuta a rappresentare quella coscienza polemicamente e analiticamente esploratrice della propria società, a svolgere quella funzione critica, che pure dall'Unità in avanti avevano costituito un tratto decisivo della sua identità. In questo silenzio e con questo silenzio degli intellettuali la «questione meridionale» mette davvero fine alla sua storia. Abituati a essere portatori di istanze di critica e di cambiamento, abituati cioè a svolgere un ruolo socio-culturale oggettivamente di opposizione, e dunque, almeno in questo dopoguerra, orientati tradizionalmente a sinistra, gli intellettuali meridionali si direbbe che siano rimasti vittime della rivoluzione politica verificatasi nel Mezzogiorno negli ultimi vent'anni. La vittoria della sinistra in tanti comuni e in tante regioni, infatti, se per alcuni di essi ha voluto dire l'arruolamento in questo o quell'organismo pubblico, e dunque l'assorbimento puro e semplice nel potere, per molti di più, per la stragrande maggioranza, ha significato essere privati di una potenzialità alternativa essenziale, di una sponda decisiva per il proprio ragionare e il proprio dire d'opposizione.
Dopo la vittoria della sinistra essere «contro» ha rischiato di significare qualcosa di ben diverso che per il passato: ed è stato un rischio che quasi nessuno si è sentito di correre.
Peccato però che evitare i rischi non significa in alcun modo esorcizzare i pericoli: a cominciare, in questo caso, dal pericolo di un declino inarrestabile di cui sono testimonianza proprio le brillantissime pagelle degli studenti del Mezzogiorno.
(14 settembre 2008)


Caro Duccio
ti confesso che a leggere e rileggere faccio fatica a comprendere il punto. Pagelle dopate? Università traformate in esamifici? Intellettuali latitanti? La questione, con tutto il rispetto per Della Loggia, che cita qua e là Berlinguer e la Gelmini, mi sembra posta in maniera speculativa e riduttiva.

La mia opinione - modestissima e da autoctona – è che il sistema scolastico meridionale che presta così poca attenzione all'istruzione ed all'innovazione tecnologica, salvo poi compensare sopravvalutando le performance dei suoi allievi, non è che la punta dell'iceberg di una dolorosa questione ascrivibile alla storica mancanza di una cultura della collettività che ha fatto capolino in maniera sporadica e quasi mai indipendente, soppiantata da un'altra cultura che premia comportamenti fortemente individualisti e che il degenerare del sistema di valori ha trasformato in un arido culto della superficie.
Porto la mia esperienza che seppure anacronistica credo possa essere condivisa da molti miei coetanei meridionali. Ho studiato in un piccolo villaggio che raccoglie l'utenza scolastica di 15 località della provincia di Salerno: significa poche sezioni, docenti prevalentemente locali e scarso dinamismo intellettuale. Le scuole di città – Salerno è a poco meno o poco più di 1 aura di autobus a seconda del comune costiero di riferimento – erano viste con quel misto di distacco e abnegazione, tipico delle mentalità provinciali.
Non avevamo i computer – ma credo che negli anni 90 fossero poche le scuole a poterselo permettere – indossavamo il grembiule nero, tremavamo quando il professore scorreva il registro per la quotidiana ronda. Non occupavamo o tentavano occupazioni destinate ad esaurirsi nel giro di una settimana perchè non capivamo il perché dell'occupazione dei nostri colleghi urbani. Non autogestivamo corsi di cinema e teatro. Attività extrascolastiche che potevamo esercitare il diritto di coltivare solo a patto che alla quotidiana ronda di interrogazioni non saltasse fuori che avevamo trascurato il ditirambo giambico.
Tutto quello che ho appreso dal sistema scolastico di cui sono un prodotto standard può essere riassunto nella consapevolezza di essere indietro anni luce e di dovermi dare una mossa e non come collettività, ma come l'uomo delle caverne doveva escogitare qualcosa di funzionale per procacciarsi la sua bella bistecchina.
Dopo la maturità la cantilena era: "Frequenta un piccolo ateneo del centro nord – ai miei tempi eranomolto di moda Urbino e Camerino, frequentate dai figli dei potestà della costiera – perché, dicevano "lì non sarai un numero, sarà più facile emergere". Ma come me, molti sono confluiti in uno degli atenei del capoluogo regionale, dove 4 lettere dell'alfabeto stipavano in un cinema 400 matricole del primo corso obbligatorio, gli esami orali prevedevano calendari anche di 2 settimane e , a volte, solo quando ti andavi a sedere davanti al professore per sostenere l'orale, riuscivi finalmente a guardarlo in faccia. I collegi di rappresentanza studentesca, a destra e a sinistra cattolici compresi, erano club di lusso per quelli che chiamavamo "chiattilli", alias i fighetti della situazione.
Alla faccia della formazione e dell'istruzione. Alla faccia dell'innovazione tecnologica. Alla faccia del dissertiamo della questione meridionale. Il messaggio neanche troppo subliminale era "Il sistema ti offre un'opportunità – sta a te saperla cogliere." Sembravano covate di conigli, tutti intenti a lottare per la sopravvivenza intellettuale. Molti di quelli che conosco sono dovuti emigrare, non tanto per inseguire la migliore opportunità o l'opportunismo migliorativo della propria condizione, quanto per smettere paradossalmente di affannarsi per ottenere il minimo, per ottimizzare l'investimento e la resa.
La questione non è "Ma guarda! Al contrario delle statistiche, il sistema scolastico meridionale fa acqua da tutte le parti! E' scandaloso che gli intellettuali meridionali non reagiscano!!!!" E' un'affermazione speculativa, mi permetto dire, perché è la meno di quello che un cittadino meridionale si deve sciroppare se vuole continuare a vivere nella sua città. Dove l'intero sistema sociale – tranne rare isole felici che non so a quanto siano accessibili - non ha rispetto dell'infanzia, della persona, della vita. Non include nella sua teoria l'approccio al futuro. E' un leviatano mosso per volontà di gruppi di interesse, a loro volta regolati da comportamenti clientelari, destinato ad implodere non senza sparare metastasii. Anche nel finto-puritano Settentrione dove l'etica del lavoro e la cultura collettiva del servizio è tradizione storica.
Il sistema scolastico ed universitario meridionale che ho sperimentato riflette una cultura ed una società che non ha fiducia, che si è esaurita, che non contempla nel suo vocabolario la parola "futuro". Buona parte dei professori che ho avuto dedicavano tempo a spronarci, ad affamarci, invitandoci a trovare il nostro modo di interpretare testi e contesti, per non essere annientati, ci dicevano, da aule universitarie affollate di diplomati di città, di ogni dove, più istruiti, più stimolati, più nutriti intellettualmente.

E noi bevevamo. Ogni singola parola che ci veniva detta, consapevoli poiché macchiati geneticamente dal gene del fatalismo, che a voler imparare la parola "futuro" l'unica associazione possibile spesso rimandava al verbo "partire". Della mia classe del liceo, gli unici ad essere rimasti proseguendo i loro studi, sono quelli che avevano una posizione garantita dal sistema dei gruppi di interesse. Tre persone. Tre persone su venticinque.
Con questo non intendo fare l'agiografia del sistema, attenzione: ne conosco parecchi di dottori e dottoresse che stentano a parlare l'Italiano, sono privi di qualsiasi passione intellettuale o peggio, vantano conoscenze approssimative e nozionistiche "made in Google". Ma ne conosco di meridionali come di settentrionali.
Come conosco in tutto lo stivale coetanei che per forza o per scelta non hanno il titolo di dottore ma hanno molto da insegnare a me e, senza presunzione, ad altri come me che l'università hanno avuto l'opportunità di poterla frequentare.

Il problema non è ascrivibile al sistema scuola. La complessa questione culturale e sociale che attraversa lo stivale e trova in molti settori del meridione una esemplare cassa di risonanza è la sfiducia e il nichilismo che infetta i giovani e che al Sud non trova diversivi o compensazioni perché i poteri forti hanno tutto l'interesse a perdurare lo status quo, eliminando la possibilità di confronto e dibattito tra i cittadini ridotti ad una specie di stato di trance da un continuo stato di emergenza.

8 ago 2008

Buon viaggio

Per assonanza con le partenze ed i ritorni, il mare e la musica di certezze crollate e fortissime vulnerabilità che muovono i nuovi passi.

"Era de Maggio"

Era de maggio e te cadeano nzino
a schiocche a schiocche li ccerase rosse,
fresca era ll'aria e tutto lu ciardino
addurava de rose a ciente passe.

Era de maggio; io, no, nun me ne scordo,
na canzona cantàvemo a doie voce;
cchiù tiempo passa e cchiù me n'allicordo,
fresca era l'aria e la canzona doce.
E diceva: «Core, core!
core mio, luntano vaie;
tu me lasse e io conto ll'ore,
chi sa quanno turnarraie!»

Rispunneva io: «Turnarraggio
quanno tornano li rrose,
si stu sciore torna a maggio,
pure a maggio io stonco ccà».

E sò turnato, e mo, comm' a na vota,
cantammo nzieme lu mutivo antico;
passa lu tiempo e lu munno s'avota,
ma l'ammore vero, no, nun vota vico.

De te, bellezza mia, m'annammuraie,
si t'allicurde, nnanz' a la funtana:
ll'acqua llà dinto nun se secca maie,
e ferita d'ammore nun se sana.

Nun se sana: ca sanata
si fosse, gioia mia,
mmiezzo a st'aria mbarzamata
a guardarte io nù starria!

E te dico: «Core, core!
core mio, turnato io sò,
torna a maggio e torna ammore,
fa de me chello che buò!».

Salvatore Di Giacomo,1885

7 ago 2008

Per un(') anonimo(a)

"La vita del mare segna false rotte,
ingannevole in mare ogni tracciato,
solo leggende perse nella notte
perenne di chi un giorno mi ha cantato
donandomi però un’eterna vita
racchiusa in versi, in ritmi, in una rima,
dandomi ancora la gioia infinita
di entrare in porti sconosciuti prima."

Francesco Guccini

1 ago 2008

Itaca

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni o i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere:
non sara’ questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.

In Ciclopi o Lestrigoni no certo,
ne’ nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga,
che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti – finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre,
tutta merce fina, e anche profumi
penetranti d’ogni sorta, piu’ profumi
inebrianti che puoi,
va in molte citta’ egizie
impara una quantita’ di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca –
Raggiungerla sia il tuo pensiero costante.
Soprattutto, pero’, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.

Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avra’ deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
gia’ tu avrai capito cio’ che Itaca vuole significare.

(1911 - Konstantinos Kavafis)

Un curriculum per tutte le autostrade, o Come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bicicletta (1)

Lontana dal blog per tutti questi mesi per la annosa “ricerca di un lavoro migliore” mi ritrovo alle prese con svariati annunci a cui sottoporre armata di umiltà e tenacia la mia candidatura.
Ho impiegato mesi per capacitarmi della necessità di accogliere ed abbracciare il cambiamento, un paio di settimane tra aggiornamento del cv ed inserimento in tutte le banche dati on line per il filtro delle offerte e finalmente, i primi colloqui.
Un processo lungo e lento partito dalla dolorosa acquisizione della consapevolezza di non avere alcuna prospettiva di crescita economica nella società per la quale lavoro, la prima che mi abbia offerto un contratto, che abbia puntato su di me all’uscita del magico mondo dell’alta formazione e alla quale sono legata – sempre meno – da un immotivato senso di riconoscenza.

Nell’ambito della mia personale campagna di posizionamento, non mi definirei una parvenu del mondo del lavoro. L’approccio consulenziale che mi è stato inculcato mi ha allenato a considerare il punto di vista imprenditoriale di una qualsiasi forma di investimento di capitale, risorse umane comprese, anche se la risorsa umana in questione sono io.
Tuttavia, un bel giorno mi sono imbattuta in un annuncio che ha messo a dura prova la mia autostima e capacità di rinascere la realtà. Arrivo in ufficio. Scarico la posta aziendale. Definisco le priorità. Mi collego alla posta personale dove ho convogliato tutti gli avvisi dei potenziali annunci di interesse. Leggo la lista delle offerte – mai più di 3 o 4 la settimana – e mi imbatto nel seguente:

“Importante Società dedicata alla gestione di strutture e di servizi nel mercato Turistico e Alberghiero, ed allo sviluppo di progetti innovativi per l’entertainment e wellness economy, ci ha incaricato di ricercare e selezionare una/un SALES & MARKETING MANAGER"

Leggo queste tre righe e mi esalto. Mi dico “Evvai, forse questa è l’opportunità giusta per intraprendere una strada stimolante, gratificante..e che strada, praticamente è un’A1con uscita sulla tangenziale di Napoli!”
Proseguo.

“Il candidato dovrà partecipare attivamente al lancio di una catena Alberghiera 5 Stelle Lusso, con prima tappa nel cuore di Napoli, con un Hotel che fonde design contemporaneo e comfort.”

Ormai sono la tifosa a 2 minuti dal fischio di inizio della partita. O la bambina davanti alla torta di compleanno su cui non vede l’ora di spegnere le candeline per fiondare la mano nella panna. Leggo avidamente la lista dei requisiti richiesti dal profilo incrociando le dita delle mani e dei piedi.

Il candidato ideale risponde alle seguenti caratteristiche:
1. Età: 35-40 anni;
Vabbè, mi dico, non ci vorremo mica formalizzare se ne ho da poco compiuti 31.

2. Standing personale di livello, spiccato senso estetico;
Ok, Emilia, te lo devi aspettare, del resto la posizione prevede di asset le piume da pavone e la puzza sotto il naso. Ma è impossibile ignorare la vocina che ha iniziato a parlare dentro di me:
“Emilia, tu non te la sei mai tirata un giorno in vita tua, anzi nemmeno una mezzoretta. Potrai anche spararti la posa sul cv ma guarda che se ti fissano un colloquio – ammesso che la restante serie di requisiti non ti abbia già fatto desistere dall’inviargliene uno – ci mettono un secondo a capire di che pasta sei.”
“Ah, sì, e di che pasta sarei secondo te?”
“Non sei fatta per queste posizioni alla Pretty Woman, sei una da trincea, sei una che sta in mezzo tra cliente e fornitore, non sei né carne né pesce”
“Fammi capire, solo perché leggi ‘standing di livello’ desumi che non abbia le competenze per quest’annuncio?”
Mi sento compromessa, ma vado avanti.

3. Consolidata esperienza nel ruolo, in società operanti nel settore hotellerie segmento lusso, modernamente organizzate e fortemente orientate al mercato;

“Vedi? Adesso vuoi venire a raccontare a me, che poi sarebbe a te, che hai una consolidata esperienza nel ruolo Sales & Marketing Manager? Secondo te perché chiedono un’età tra i 35 e i 40 anni, perché si aspettano che risponda all’annuncio Gorge Clooney?”
“Non rompere e lasciami leggere fino alla fine..e poi che c’entra Clooney?? Mamma mia, come si sente che sei single…qui stiamo parlando di lavoro…”
“Appunto, donna in carriera”
“In corriera, prego”
Se sono all’autoironia con il mio alter ego, sono alla frutta, lo so, ma non demordo.

4. Esperienza nell’avvio e nella gestione di attività di vendita e di marketing di servizi nel settore;
“Vedi, che ti dicevo, secondo te non mastico questo pane?”

5. Esperienza consolidata nella gestione di budget di area;
…proprio consolidata…

6. Percorso professionale coerente ed omogeneo;
Questa ce l’ho.

7. Ottime capacità relazionali e comunicative, organizzative e gestionali; propensione a lavorare per obiettivi e in tempi ridotti;
Mi passano davanti come le scene di un film le innumerevoli necessità relazionali e comunicative, organizzative e gestionali. Sostituirei “propensione” a “coercizione” ma va bene lo stesso, sono dettagli nella mia corsa all’A1 direzione Napoli.

8. Profilo verticale, flessibile, fortemente customer-oriented;
Eh??? Va bene flessibile, va bene l’orientamento al cliente…ma il profilo verticale, che d’è?

9. Mentalità imprenditoriale, candidato molto qualificato; attitudine ed abitudine alle sfide professionali;
Fa un po’ piattino dell’happy hour…

10. Motivazione e determinazione, maturità, autonomia, problem solving, forte spirito di iniziativa/proattività;
11. Massima disponibilità a trasferte/spostamenti;
12. Ottima conoscenza della lingua inglese.

Altro? Non so, tipo “esperienza pluriennale in piani di logistica militare”? o “medaglia d’oro alle olimpiadi per il nuoto stile dorso”? e perché non “premio nobel per la medicina”??????
Mi fermo un istante e finalmente inizio a riflettere. Rileggo lentamente i requisiti. L’A1 oramai è un miraggio, mi sento fortunata se rimedio una bici e mi avventuro sulla statale.

Insomma, chi stanno cercando, qualcuno che gli avvii la struttura facendogli il marketing e un buon tasso di occupazione o Gesù in persona che prende l’hotel e glielo porta sulla Luna?
Qui non c’entra avere i requisiti oppure no. Alcuni dei requisiti mi mancano e anzi, direi che mi manca un requisito fondamentale: io non ho nessuna esperienza diretta nel settore alberghiero, per cui mi è chiaro che la mia candidatura sarà cestinata perché la posizione alla quale sto aspirando è troppo alta per quel comparto di settore.
E’ questione di ipertrofismo generico dei requisiti. Gli annunci sono tutti uguali, cambia quello che di fatto andrai a fare ma tutti richiedono: Mentalità imprenditoriale, candidato molto qualificato; attitudine ed abitudine alle sfide professionali; Motivazione e determinazione, maturità, autonomia, problem solving, forte spirito di iniziativa/proattività; Massima disponibilità a trasferte/spostamenti; Ottima conoscenza della lingua inglese.


Ma non è finita. Purtroppo e per fortuna.

Il candidato ideale sarà in grado – a diretto riporto dell’Amministratore delegato - di svolgere le seguenti attività:
• Definizione di piani e strategie commerciali e di marketing;
• Individuazione di nuovi segmenti;
• Definizione e gestione delle relazioni commerciali, con ottimizzazione tempi/modalità/savings/revenues;
• Business development e relativo follow-up, attraverso relazioni sistematiche e strutturate.

Questo sì che mi sembra chiaro e fattibile.

Sede di lavoro: Napoli, con disponibilità a frequenti trasferte nazionali/internazionali
Inserimento: immediato

E io il CV l’ho mandato lo stesso. E come ogni CV che invio non mi preoccupa l’essere richiamata o meno – almeno, non ancora.

17 mag 2008

"Fatti non foste per viver come bruti..."

Buongiorno a tutti. Campani e non.

Premetto che questa è una email inviata a tutta la mia lista di contatti, scritta sull'onda dell'emotività e della rabbia di fronte allo spettacolo di una Napoli che non riesco più a riconoscere e che mi fa soffrire. Profondamente.

Non sono napoletana. Sono cresciuta in una minuscola località della costiera amalfitana e ho trascorso a Napoli gli anni dell'università, per molti aspetti i più belli ed i più costruttivi della mia vita. Vivo e lavoro a Bologna da circa 6 anni. La famosa America che America non è, o se lo è, somiglia molto a quella delle sceneggiate di Mario Merla. Lacrime, sacrifici e tutto quello che conoscete o vi potete immaginare. Lascio il "voi". Preferisco il "tu". Non mi importa che sia sgrammaticato. Non mi interessa se ti offende o ti fa ridere.

Se sei rimasto in Campania, o comunque "a casa" quei sacrifici e quelle lacrime le capisci lo stesso, non credo siano meno amare se tutti i giorni sei costretto a subire, a scendere a compromessi, a patteggiare con un sistema che ti ha invischiato le ossa al punto da farti rassegnare a convivere con la violenza e la paura, che non te riesci ad andare, o magari non te ne vuoi andare ma tutti i giorni devi lottare e – questo io non lo posso sapere – in onestà non dici se fai la vita che vuoi fare.

Non posso e non voglio aprire i giornali e vedere la "mia" città in ginocchio, non posso raccogliere il racconto di chi a Napoli ci vive ed è arrivato all'esasperazione di fronte all'impossibilità di uscire di casa, o di rientraci perché ostacolato da cumuli di rifiuti riversati nelle strade che non si possono evacuare, a meno che non si voglia arrivare alla colluttazione con chi quell'immondizia l'ha riversata per strada. Periferie. Provincia. Centro storico.

Anno dopo anno, sono tornata a Napoli e anno dopo anno ho sentito rabbia e frustrazione. Non è la "mia" città, mi dico e mi ridico, non può essere, non la riconosco più.

Me la vuoi raccontare con "sì vabbè, Napoli avrà le sue contraddizioni ma resta la città più bella del mondo"? Trovami argomenti più convincenti, i luoghi comuni con me non funzionano.

Amo Napoli quanto te. Al punto che, anche se sono emigrata, istinto e viscere mi fanno vedere i miei figli camminare per quelle strade, parlare la lingua che ci hanno insegnato prima dell'italiano, mangiare come mi hanno nutrito, condividere l'orizzonte di un mare di tradizioni e cultura, che ci fanno tenaci e determinati, perseveranti e pazienti, ironici e taglienti. Quel "qualcosa in più" che ovunque andiamo ci portiamo sotto la pelle e che fa emergere alcuni di noi.

Ma non voglio per me, per chi amo e chi metterò al mondo la vista obbligata sull'orizzonte della violenza. Dell'abuso, della dipendenza, di questa immondizia che prima ancora di essere gli scarti della cucina e del quotidiano è un veleno che lentamente ci assuefa a credere che va bene così, che è colpa dello stato, che è colpa della camorra, che ti devi adattare, devi sopravvivere, deve sgomitare per restare a galla e respirare in un mare che sta diventando una fogna.


Accendo la tv, settacio internet, i blog. Alla ricerca di risposte che non mi soddisfano.
E mi fanno sentire esclusa – dalla possibilità di fare qualcosa, dal venire a sapere chi sta facendo cosa, perché ne sono convinta, non è possibile stare a guardare questo stupro, qualcuno, non mi importa di che colore politico, religione, residenza, sarà incazzato quanto me e qualcosa la pensa e magari sta provando a farla.

Ti prego, dimmelo. Parliamone, incontriamoci tutti e facciamola sentire la nostra voce. Se restiamo in silenzio, ha vinto l'immondizia. O fammi tacere, ma dammi una buona ragione.
O magari conosci qualcuno che si sta muovendo. Dammi il suo contatto, per favore.

Non è solo Emilia che scrive. E' una campana esasperata. Un'italiana incazzata. Un essere umano che come te non ha scelto la violenza, non vuole vivere nella paura e ama profondamente la "sua" città e il suo paese.
Rispondimi

13 mag 2008

Appuntamento ai piedi del vulcano

Sei stata mia madre.

La donna che mi ha nutrito. La radice che mi ha abbandonato.


Sei stato mio padre.

L’uomo che mi ha insegnato. Il pugno che mi ha rotto il naso.


Sei stato mio fratello. Il compagno di giochi.

Sei stata mia sorella. La custodia di ogni segreto.

Sei stato l’uomo che amato alla follia.

Il fardello più grande di un’apolide testarda che non esiste più.


Ti spio di nascosto quando tu non sai che ti sto osservando.

Ti leggo sui giornali che ti vogliono deceduto, decaduto, divorato dalle lotte del potere.

Ti seguo nella voce di ogni sconosciuto che intercetto per strada, solo perché mi ricorda la tua.

Ti mangio ogni giorno illudendomi che a imbastire il pasto che mi hai insegnato mi ritorni nelle viscere anche il tuo calore.

Ti saluto ogni mattina quando guardandomi allo specchio ritrovo il tatuaggio genetico che mi hai lasciato.

Ti sogno di notte grondante di pioggia, carico di sole, disteso indolente a farti passare addosso gli anni.


Non un giorno da quando sono partita ho cessato di pensarti.

Sei attaccato alle viscere e brancoli nella mente.

Sei nel sangue che spargo ogni mese e nel sudore che disperdo.

Sei sotto la pelle a ruggire salvezza.

Sei stata la rabbia che chiede servi.

Oggi sei la pace che mi fa libera.


Voglio ri-conoscerti.

E voglio che tu ri-conosca me.

Mi trovo davanti alla tua porta di mare a chiederti di lasciare nell’acqua quel patto di nascita.

Sono qui, alle tue falde, a dirti che quel contratto col sangue è stato veleno smaltito.

Sono qui con la mani aperte a chiederti di aprire le tue.

A cercarti per sentire se posso essere per te e tu puoi essere per me.


Emilia. Napoli.

Tra di noi un punto da ridefinire.

12 mag 2008

Terra di Terra

Me lo ero ripromessa. Ogni volta queste partenze diventano più difficili e non sono poi state tante...
Difficile come è difficile pre me riascoltare Terra Mia di Pino Daniele senza provare esattamente le stesse cose che sentivo su quella veranda a Milano, nel 2002, quando una sera di Febbario la riascoltammo con Ivan ed entrambi piangevamo in silenzio le lacrime amare di chi sta lontano.
Spazio, modo e tempo sono cambiati. L'essenza è rimasta la stessa.
Ed è dal casuale ascolto di questa canzone che voglio partire per raccontarti il week end a Napoli.

Tornare a Napoli. L'illusione di riavere accesso ad una specie di paradiso.
Un paradiso fatto di ignoto, di pasta del demonio, di quel sublime che non si svela mai.
...ma poi, chi lo dice che il paradiso sia così?
Una parte di me spera ardentemente di no, la stessa parte che ha rinnegato, che ha mangiato la mela, che ha iniziato a guardare il mondo capovolto.
Un'altra parte di me ha appiccicato a questa città sospesam tra magia e catstrofe gli sttributi del sacro.

Lista della spesa per giovedì - cosa mi ha fatto male questo week end?
Probabilmente il sentirmi di fronte ai miei limiti - è questa è una cosa fantastica!
Ad Istinto non mi viene la sensazione che ho provato, ce l'ho già travestita dall'ironia:
"Grazie. Grazie per aver dedicato una serata a me e te soltanto. Grazie per avermi chiesto chemi andava di fare, davvero. E' banale, ma ho apprezzato molto cha tu abbia fatto prevalere, anche solo per una serata, le ragioni mie e tue, quelle che dicono che abbiamo appuntamento con il resto del mondo tutti i giorni ad orari concordati mentre io te abbiamo appuntamento quando ci va bene un week end sì e l'altro no, oppure, come mi hai appena accennato, oggi è 11 maggio e ci possiamo rivedere il 30 perchè il prossimo week end hai un paio di conferenze e quello dopo hai l'ultima rappresentazione dello spettacolo...L'ho apprezzato tantissimo questo week end perchè mi hai fatto sentire una persona importante per te e mi hai fatto sentire che stai credendo in questa cosa che ci è capitata ed il fatto che anche tu la alimenti fa sentire più sicura anche me, che sto andando nella giusta direzione ..."
Ma l'ironia non ci sta nella lista della spesa, devo sforzarmi di imbarbarire le emozioni. I miei limiti: tendo ed essere diffidente,soffro del fatto che forse sono un pò troppo ingenua o comunque dò troppa importanza alle cose, in ogni caso dò per scontate delle cose che scontate non sono - cioè mi sarò creata delle assurde aspettative - cosa di per sè già demenziale - sulla base di parole o gesti fatti in buona fede ma sull'onda dell'entusiasmo e l'entusiasmo in alcuni è superficialità. (segue)

16 apr 2008

Montedidio - Erri De Luca

sospiri, uh quant’è scocciante. L’ammore nostro è un’alleanza, una forza di combattimento.” Le nostre chiacchiere strette scappano nel vento che ce le scippa dalle bocche.

21 feb 2008

"Guaranteed " Eddie Vedder (Into the Wild OST)

On bended knee is no way to be free
Lifting up an empty cup, I ask silently
All my destinations will accept the one that’s me
So I can breathe…

Circles they grow and they swallow people whole
Half their lives they say goodnight to wives they’ll never know
A mind full of questions, and a teacher in my soul
And so it goes…

Don’t come closer or I’ll have to go
Holding me like gravity are places that pull
If ever there was someone to keep me at home
It would be you…

Everyone I come across, in cages they bought
They think of me and my wandering, but I’m never what they thought
I’ve got my indignation, but I’m pure in all my thoughts
I’m alive…

Wind in my hair, I feel part of everywhere
Underneath my being is a road that disappeared
Late at night I hear the trees, they’re singing with the dead
Overhead…

Leave it to me as I find a way to be
Consider me a satellite, forever orbiting
I knew all the rules, but the rules did not know me
Guaranteed

Liberata la tigre salvata dalla lapidazione, o Viva la Vita Leggera

I forestali indiani rilasciano nel fiume Sundarikati una tigre salvata nei giorni prima dalla furia degli abitanti di un villaggio della zona di Sunderbans.

Forse è fortuna. Forse l’esatto opposto. Allora, provo a ragionare.
La prendo larga, tanto so di essere prolissa, ma il ragionamento per me è come far venire fuori una forma da un’approssimazione..più o meno…nel senso che non sempre mi vengono fuori forme che capisce

Il fatto è che io non sento il “vuoto” e, in passato, questo mi faceva soffrire perché credevo non mi permettesse di capire le altre persone.
Ho provato a raccontarmela in diversi modi. Ho chiesto ad un milione di sedicenti portatori (mal)sani del famigerato “Vuoto”.

Qualcuno una volta mi ha detto che il “vuoto” somiglia all’esperienza del volo o del salto.
Sono decollata ed atterrata decine di volte – certo ancora poche per saziare la fame di vedere il mondo – e ogni volta la sensazione è stata piacevolissima – se possibile, quella manciata di secondi che un aereo impiega per staccarsi dalla pista di decollo, io lo prolungherei per ore.

Qualcun’altro mi ha detto che il “vuoto”, per capirlo, lo devo immaginare come il contrario di “pieno”.
E qui mi si è complicato ulteriormente lo scenario perché…riesco ancora meno a capire.

Tutto è pieno, secondo me, nel bene o nel male.

Allora, la mia debole logica mi ha portato a riferirmi al “vuoto” come il “pieno negativo” – dalle famose giornate no alle sofferenze atroci che fanno parte della vita. Ma sono stata ripresa: il “vuoto” è l’assenza, il non-pieno, il nulla.

Accavallo le gambe. Inclino la testa e contraggo i muscoli del viso in una smorfia ebete. Comincio a sudare. Cerco nella memoria… e, no, non mi vengono in mente né Heidegger né Gadamer , ma un film che da piccola ho visto e rivisto centinaia di volte, di nascosto.

Il film, diretto nel 1984 da Wolfgang Petersen, è “La Storia Infinita” fedele nel titolo all’omonimo romanzo tedesco del 1979 di Michael Ende (Die unendliche Geschichte, in tedesco) da cui è tratto.

Ve lo ricordate? Ad un certo punto della storia, il guerriero del mondo di Fantasia chiamato a contrastare il Nulla dilagante, inconta G’mork, avamposto del maligno:

Atreyu: “Ma cosa è questo Nulla?"
G’mork: "E' il vuoto che ci circonda. La gente ha rinunciato a sognare ed io ho fatto in modo che il nulla dilaghi"
Atreyu:"Ma perché?"
G’mork: "Perché è più facile dominare chi non crede in niente. Se osi avvicinarti, io ti dilanio"

Non voglio passare per la solita “sega” ma il dialogo originale è un tantino diverso e merita di essere confrontato:

Atreyu: “What is the nothing ?!”

G’mork: “It's the emptiness that's left. It's like a despair, destroying this world. And I have been trying to help it”

Atreyu: “But why?”

G’mork: “Because people who have no hopes are easy to control. And whoever has control has the power”

Tra le varie cose da notare, mi preme la definizione di Nulla come “the emptiness that's left”…sì, ma da cosa????? Comincio a sorridere. E il sorriso di trasforma in risata mano a mano che dal ragionamento ritorno nel calduccio della mia pancia.
Forse, semplicemente, ne ho avuto davvero abbastanza di questo Non-Vuoto, anche (ed in alcuni periodi soprattutto) quando a riempire non era “roba”mia, ma il vomito senza rispetto e senza dignità di qualcun altro.Troppi anni a dovermi difendere dall’invasione per potermi preoccupare di una (non)cosa chiamata Nulla da sperimentare.
E’ chiaro, non sono certo Tomb Raider. Se sono diventata così sensibile ai mutamenti di marea è perché lo tsunami mi ha già fatto visita.
Ma allora lo sapete che c’è? Chi se ne importa di una cosa che non esiste? :) Quello che c’è dentro e fuori di me è troppo allettante per lasciarselo scappare.