Buongiorno a tutti. Campani e non.
Premetto che questa è una email inviata a tutta la mia lista di contatti, scritta sull'onda dell'emotività e della rabbia di fronte allo spettacolo di una Napoli che non riesco più a riconoscere e che mi fa soffrire. Profondamente.
Non sono napoletana. Sono cresciuta in una minuscola località della costiera amalfitana e ho trascorso a Napoli gli anni dell'università, per molti aspetti i più belli ed i più costruttivi della mia vita. Vivo e lavoro a Bologna da circa 6 anni. La famosa America che America non è, o se lo è, somiglia molto a quella delle sceneggiate di Mario Merla. Lacrime, sacrifici e tutto quello che conoscete o vi potete immaginare. Lascio il "voi". Preferisco il "tu". Non mi importa che sia sgrammaticato. Non mi interessa se ti offende o ti fa ridere.
Se sei rimasto in Campania, o comunque "a casa" quei sacrifici e quelle lacrime le capisci lo stesso, non credo siano meno amare se tutti i giorni sei costretto a subire, a scendere a compromessi, a patteggiare con un sistema che ti ha invischiato le ossa al punto da farti rassegnare a convivere con la violenza e la paura, che non te riesci ad andare, o magari non te ne vuoi andare ma tutti i giorni devi lottare e – questo io non lo posso sapere – in onestà non dici se fai la vita che vuoi fare.
Non posso e non voglio aprire i giornali e vedere la "mia" città in ginocchio, non posso raccogliere il racconto di chi a Napoli ci vive ed è arrivato all'esasperazione di fronte all'impossibilità di uscire di casa, o di rientraci perché ostacolato da cumuli di rifiuti riversati nelle strade che non si possono evacuare, a meno che non si voglia arrivare alla colluttazione con chi quell'immondizia l'ha riversata per strada. Periferie. Provincia. Centro storico.
Anno dopo anno, sono tornata a Napoli e anno dopo anno ho sentito rabbia e frustrazione. Non è la "mia" città, mi dico e mi ridico, non può essere, non la riconosco più.
Me la vuoi raccontare con "sì vabbè, Napoli avrà le sue contraddizioni ma resta la città più bella del mondo"? Trovami argomenti più convincenti, i luoghi comuni con me non funzionano.
Amo Napoli quanto te. Al punto che, anche se sono emigrata, istinto e viscere mi fanno vedere i miei figli camminare per quelle strade, parlare la lingua che ci hanno insegnato prima dell'italiano, mangiare come mi hanno nutrito, condividere l'orizzonte di un mare di tradizioni e cultura, che ci fanno tenaci e determinati, perseveranti e pazienti, ironici e taglienti. Quel "qualcosa in più" che ovunque andiamo ci portiamo sotto la pelle e che fa emergere alcuni di noi.
Ma non voglio per me, per chi amo e chi metterò al mondo la vista obbligata sull'orizzonte della violenza. Dell'abuso, della dipendenza, di questa immondizia che prima ancora di essere gli scarti della cucina e del quotidiano è un veleno che lentamente ci assuefa a credere che va bene così, che è colpa dello stato, che è colpa della camorra, che ti devi adattare, devi sopravvivere, deve sgomitare per restare a galla e respirare in un mare che sta diventando una fogna.
Accendo la tv, settacio internet, i blog. Alla ricerca di risposte che non mi soddisfano.
E mi fanno sentire esclusa – dalla possibilità di fare qualcosa, dal venire a sapere chi sta facendo cosa, perché ne sono convinta, non è possibile stare a guardare questo stupro, qualcuno, non mi importa di che colore politico, religione, residenza, sarà incazzato quanto me e qualcosa la pensa e magari sta provando a farla.
Ti prego, dimmelo. Parliamone, incontriamoci tutti e facciamola sentire la nostra voce. Se restiamo in silenzio, ha vinto l'immondizia. O fammi tacere, ma dammi una buona ragione.
O magari conosci qualcuno che si sta muovendo. Dammi il suo contatto, per favore.
Non è solo Emilia che scrive. E' una campana esasperata. Un'italiana incazzata. Un essere umano che come te non ha scelto la violenza, non vuole vivere nella paura e ama profondamente la "sua" città e il suo paese.
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