26 giu 2007

La voce a te dovuta

Stamattina mi è arrivato questo messaggio bellissimo da un amico speciale per me.
Grazie, cumpagn mì, la lista è pronta e la finestra è finalmente aperta.

Cara Emilia,

con tutto il calore dei nostri abbracci e con tutta la confidenza che in questi lunghi anni mi sono guadagnato, ti scrivo una e-mail di auguri un po’ stronza. Sicuro che non me ne vorrai male ma che, al contrario, continuerai a volermi bene così come io ne voglio a te.

C’è una usanza napoletana che oggi dovresti fare tua. E mi scuso se il mio appunto arriva con 12 ore di ritardo.
Aprire la finestra e gettare di sotto tutte le robe vecchie. Perché quello che è fatto è fatto, quello che hai visto e vissuto è andato via per sempre e non si deve fare altro che guardare avanti.

Questi miei auguri (colpevolmente in ritardo ma spero ancora graditi) sono un po’ un invito ad essere programmatici. Brutta parola, lo riconosco, che per me vuol dire: “da adesso a 10 anni voglio fare questo e quello, voglio vedere questi posti e non quelli, voglio frequentare solo queste persone o conoscere solo persone diverse da quelle che ho incontrato finora, voglio arrivare lì e fermarmi là.”

La lista falla adesso. Staccati dalla tastiera, prendi un pezzo di carta e una penna e vattene al bar sotto l’ufficio.
Poi piegala bene e mettitela in una tasca segreta.
Torna su, alle 4 manda gentilmente affanculo il tuo capo e torna a casa.
Preparati per la festa.

Divertiti.
E da domani in poi comincia a tenere una finestra sempre aperta per ogni evenienza.

Con amore
Ivan

L'insostenibile leggerezza degli ultratrentenni

Perdonate lo sfogo, ma non so se ridere o piangere.
Sono su uno spazio critico, senza scomodare Virilio - non posso fare nomi, nè descrivere fatti e situazioni come reali. Ma se adesso volessi raccontarvi una storia sarebbe palesemente autobiografica e rischierei di compromettere altre persone la cui descrizione delle eroiche gesta potrebbe far risalire alla reale identità.

Beh, in qualche modo dovrò raccontarla. Perchè trovo sia molto istruttiva.
Ricoradate la missione impossibile di sabato? Bene.
Chiusa la pratica, compio 30 anni e me ne sto in silenzio, ad abbracciare la coscienza e le emozioni che dentro di me stanno cambiando forma, spessore e sfumatura.

E la vita è riuscita a stupirmi anche stavolta. Dopo l'interruzione delle comunicazioni risalente allo scorso sabato inizio il lunedì con un messaggio email del prodigo migliore amico della fonte del mio transitorio disorientamento, il quale, ben lungi dall'essere amico mio, ha ritenuto comunque opportuno precisare a me che era dispiaciuto degli accadimenti occorsi, che il suo fraterno amico non è l'incarnazione della malvagità ma che, addirittura, mi vuole un bene dell'anima. A prescindere dal fatto che dubito si possa volere un bene dell'anima a qualcuno che ancora non si conosce per chi è, a seguito di questo messaggio mi è....venuto il latte alle ginocchia.

E per diversi motivi. Tra cui, non trascurabile a mio avviso, il fatto che a scrivere fosse il premuroso amico e non la persona direttamente interessata - dove tengo a precisare che, tra entrambi, siamo di fronte a be 70 anni di vita e che, tra i due, c'è una differenza di soli 4 anni.

Non occorre ricorrere al pensiero laterale per fare una botta di conti. Il messaggio email non ha alcuna funzione se non quella di intervenire nella vita dell'amico poco stimato, dal momento che non lo si ritiene all'altezza di gestire autonomamente la situazione.

Capita. Generalmente fino ai 12 anni, quando tra due amici - e forse più frequentemente tra due amiche - il naturale rapporto di amicizia oscilla incontrollato tra identificazione e rifiuto, tra desiderio di primeggiare e desiderio di annullarsi nell'altro, di lasciarsene assorbire. Al punto che l'amicizia perde il carattere spontaneo di generosità, disinteresse e volere il bene dell'altro per diventare una banale e morbosa realzione di potere.

Sono scivolata senza spiegarmi. Ma è questo che mi ha fatto male. Come è possibile che un ultratrentenne apparentemente evoluto si arroghi il diritto - a patto che l'altra parte ne sia ignara - di dover dire la sua in una situazione che non gli appartiene? E' il genitore verso il bambino, non è l'amico. E' il rafforzamento del proprio sintomo patologico, non è l'amico.

E' morboso. E' immaturo. E' da pusillanime. Non c'è niente di umano. E' come se tutto il bello che abbia visto di questa persona, una volta appurato che è intrappolato dalla paura, abbia acquisito una nuova dimensione - di ineluttabilità.

Confesso che una parte di me è ottimista e vuole credere che l'amico sia amico veramente e abbia agito per puro disinteresse e affetto per l'amico. Poi mi chiedo...io cosa avrei fatto? La verità è che ritengo i miei amici perfettamente in grado di gestire la loro vita ed anche nel momento di difficoltà - o di fronte ad una evidente incapacità di prendersi cura di loro stessi - cerco di sostenerli senza mai togliere loro l'arbitrio e l'agito. Mi è capitato, e lo dico senza vergogna che in più di un'occasione abbia desiderato fare del male fisicamente ad un uomo che tormentava gravemente una delle mie più care amiche.
Nonostante sapessi che fosse giusto, non ho preso iniziative in tal senso. Mai. E lungi da me la vigliaccheria - non aspettavo altro!!! Il punto è che all'amica io ho voluto dare fiducia. Ma questa è un'altra lunghissima storia e adesso sono stanca.

Insomma, non so se piangere o ridere. E' davvero questo il panorama maschile standard con il quale mi devo confrontare? Una pletora di inetti bloccati in un trauma adolescenziale??!!
Ah....non ho dubbi, la vita mi stupirà anche stavolta.

25 giu 2007

17 seconds is all you really need

Che fatica uscire da quella porta. Avesse fatto un gesto, anche minimo per trattenermi, sarei rimasta. Ma è andata così - sabato la mia missione impossibile è stato un concreto rispecchiamento in un passato che mi appartiene, di cui ricordo molto bene il sapore amaro..ma che non corrisponde più al mio orizzonte.
Sono stata coraggiosa. Sono stata reale. Sono stata me. E amen. Non credo che ne scriverò ancora, non credo nel lieto fine. Dopo la missione, sono stata a pascolare raminga in un parco poco distante. Il sole stava per calare, il vento faceva cantare le foglie un lamento che mi abbracciava.
E mi sonoun pò sentita esattamente come a 16 anni, nuda.

"Forse perchè della fatal quiete tu sei l'imago a me sì cara vieni o sera!
E quando ti corteggian liete le nubi estive e i zeffiri sereni,
e quando da nevoso aere inquiete tenebre e lunghe all0universo meni
sempre scendi invocata, e le secrete vie del mio cor tieni.

Vagar mi fai coi miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno

E intanto fugge questo reo tempo
e van con lui le torme delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier che entro mi rugge."

Ho addirittura pianto. Due lacrime. Senza strepitare. Senza scenate.
Due lacrime che ho non ho voluto ingoiare. Che bruciavamo da morire tanto erano salate.
E se ci devo stare male che ci stia, niente è paragonabile a quanto ho già sofferto.
E poi, si tratta del rammarico per un'opportunità che deliberatamente una parte ha scelto di non sperimentare, ponendo ragioni che vanno oltre la mia limitata comprensione.

Ma andiamo avanti, sì, perchè oggi ho 30 anni e, nonostante tutto, voglio andare avanti.
Voglio il sole, voglio il mare, voglio il vento, voglio la neve, voglio tutto quello che avrò la forza di desiderare.




23 giu 2007

Breviario minimo prima di compiere 30 anni

E' sabato e sono a pezzi.
Una fame da lupi - le 14.46 e ho mangiato quello che credevo mi sarebbe dovuto piacere, ovvero qualcosa di diverso dal solito. Risultato? non vedo l'ora di lavare i denti. Ma c'è un altro dente che devo sistemare prima. Mi preme di più in questo momento.

Ieri è stata una giornata interessnte: ho cambiato mille maschere e sono riuscita a restare me. Cerchiamo di essere meno criptici: in questo momento ho due lavori - uno, che per sua natura, è fatto di relazione, analisi, capacità di essere nel "hic et nunc", versatilità spazio temporale e, per fortuna, creatività; l'altro, un brutale ed enttusistico front office di manovalanza.
Ieri ho vissuto la pregevole alienazione professionale di dover essere 3 ruoli diversi nello stesso giorno...ed ero sempre io. Consulente, tutore in un'università e cassiera.
Chiunque di voi legge questo post e vive un'esperienza simile..per favore, confrontiamoci, ho bisogno di mettere in relazione questa esperienza.

Ed è questo il punto: io ho una fame atavica di relazione e di esperienza. Ho energie da vendere, nonostante abusate e logorate. Non mi fermo mai. Anche di fronte ad inequivocabili avvertimenti. E' precoce, dicevano i miei genitori falsamente preoccupati quando a 4 anni leggevo e scrivevo - come se non avesse voluto qualcuno che imparassi il prima possibile.
E' più matura della sua età, gongolavano i professori al liceo quando, nei confusi periodi dell'occupazione non partecipavop con i miei compagni alle partitte di calcetto ma mi rintanavo in biblioteca a leggere e rileggere Chateubriand, Hugo, Foscolo, Hesse.
E' estremamente inconsapevole - dunque un pericolo per se stessa - rimproverava la correlatrice della mia tesi di laurea, implorando me e addirittura i miei, di fare qualcosa per tirarmi fuori dai libri e vivere nella realtà di questo mondo.

La verità è che di questo mondo io ho sempre fatto parte. Solo, l'ho sempre osservato ad un pelo dalla superficie, sotto l'acqua, come guardando in un caleidoscopio che avesse il dovere di incantarmi ogni volta, spaventarmi ogni volta con le sue sorprendenti combinazioni di imprevedibili variabili.

Dopodomani compio 30 anni. E sento tutto il potere. Di essere indipendente economicamente da un bel pò. Di essere libera di decidere della mia vita. Di essere me cha ha davanti una serie infinità di opportunità. Pregi e difetti.

Tra un'oretta andrò a chiarirmi le idee confrontandomi con la persona che mi disorienta. Nessuna certezza, dice bene il mio amico della bassa reggiana, solo opportunità.
Non sto andando a giocare la mia solita partita a scacchi. Sto andando a portare della frutta fresca e del te, sto andando a dire: "Di te mi interessa"
In ultima analisi, sto andando a rischiare.

Questo è il più bel regalo che possa farmi. Non si tratta di paura o di sentisrsi inferiori. Il mio percorso - ahimè- mi ha portato nel tempo dal sentirmi seriamente una nullità rispetto al resto del mondo al riconoscere il mio valore che in quanto mio è unico e prezioso. Le piccole bilance dentro di me stanno andando in pari dopo oscillazioni, testardi e ingenui tentativi di trovare la vai di mezzo.
Ho energia da vendere e questo è un mio gran difetto. Sono come i bambini: mi entusiasmo e mi appassiono per le piccole cose. E a furia di farmi male è stata la paura di farmene ancora che mi ha messo un freno, non la consapevolezza di sapere quando appassionarmi, o almeno, di poter contare sulle mie difese.

Daphnae è sempre stata per gli altri: tu devi essere questo per me, tu devi fare questo per me. L'alternativa era il nulla. E via. Lo faccio da 30 anni. Senza presunzione, chi mi conosce dice che sono untesoro, che sono un angelo, che è stimolante e fonte di arricchimento avere a che fare con me. Salvo poi non reggere.

Mio dio, sembra che io sia un tipo travolgente. Non è così, io sono timida, anzi introversa. Tanti mi conoscono, davvero a pochi apro il mio cuore. Daphnae si attiva - si attiva anche al posto tuo, scioglie le tensioni e ti offre la soluzione. Daphnae non ti permette di mostrarmi i tuoi attributi, perchè se per ipotesi non ce li hai o non sono abbastanza, Daphnae non lo regge.
Che despota, niente male eh?
Controllo io, ci penso io, mi ti carico sulle spalle e ti faccio divenire una supernova per poi dire che sei eccezionale. Peccato che della eccezionalità non se ne veda l'ombra se non di quella parvenza indotta da me. No. Così non va bene. Oltremodo non sono nemmeno narcisista.

Quindi, per celebrare il mio compleanno, sto andando a regalare della frutta ad una persona che senza il mio intervento mi è sembrata eccezionale. Regalerò la frutta e dirò addio al mio meccanisno, o almeno ci proverò, e forse dovrò dire addio anche a questa persona.

Non posso non pensare a Nasos Vaghenàs:

"La morte ogni tanto dice: per fortuna siamo arrivati fin qui.
E tira fuoriun fazzoletto sporco e si asciuga.
Dalla tasca le cado una banconota.
La trovaun bambino e si compra i dolci.
La trova una ragazza e si compra un vestito.
La trova un pazzo e si compra il cielo.
La trova un saggio e la ridà alla morte."

Sono anni che ci sbatto il muso. E solo ora, dopo anni in cui istintivamente avrei agito da pazzo, lo stomaco mi porta ad agire da saggio, senza sapere ancora bene perchè.

In bocca al lupo Daph.

21 giu 2007

Altalene tra controllo ed euforia

Ed eccoci.
Apparentemente fuori dal tunnel dell'insalatina mista a base di ansia, vaghe paure e non quantificabili giraementi di testa. Me ne sto seduta e rifletto. E sento la gioia. Una delle cose che più mi stupisce di me - per fortuna sono ancora molte - è la capacità che ho di far diventare le cose quello che non sono. Le persone quello che non valgono. Ed è proprio questo il punto, o uno dei tanti. Capita solo a me? Non lo so. Non credo. Appartenendo alla polposa schiera di coloro che miscelano paura e coraggio salvo poi decidere solo sulla base dell'istinto viscerale, delle volte mi capita di credere che ci sia qualcosa di interessante nell'altro per poi completare il quadro come vorrei che fosse. Inutile dire 99 su 100 che il quadro è diverso. Non per questo deludente, o un brutto quadro, ma diverso. Devo ringraziare un carissimo amico per questa riflessione spuntata fuori stanotte al telefono, con me che boccheggiavo distesa sul mio letto tentando un approccio bradicardico all'esistenza in un habitat a 34° ed il mio amico seduto sul patio antistante casa, nella notte che io immagino immobile della bassa reggiana.
Sono qui. Ero lì e mi sono detta: Oooops, l'ho fatto di nuovo. Banale. Incasso e via andare.
Il punto non è tafazzarsi le palle per l'ennesima volta che mi lascio prendere la mano sull'onda dell'entusiasmo. Il punto è crescere da questa situazione.
Come su un'altalena oscillo tra la smania di controllo dello scibile e l'euforia di una totale deresponsabilizzazione degli accidenti che mi capitano. Non trovo il punto di equilibrio, o meglio non l'ho mai cercato. Ma la vostra pazza vuole stupirvi stavolta. Sì perchè, la procedura std di fronte ad un quadro che non è reale prevede che io cambi galleria d'arte o distolga indifferente o delusa lo sguardo da quel quadro poco incoraggiante. Stavolta io sto lì e anche se il quadro non è quello che credevo lo guarderò con sufficiente attenzione prima di decidere che non mi interessa. Mio dio, direte voi, semplice. Eh, no. Non per me. Niente di più facile che il mio prossimo post abbia per titolo: il quadro brutto o la tela inguardabile, ma almeno ci avrò provato. E fin quando ci provo sono ancora sulla buona strada per riuscire. Riuscire a fare che? Essere me stessa e reclamare il sacrosanto diritto di essere accettata e apprezzata per quello che sono. Senza strategie, senza trucchi che tanto non ne so fare. Chiaramente si parla di una persona che mi interessa. Ora cercherò di sentire quanto e perchè, che per me è un determinato e potente atto di coraggio. Fate il tifo per Daph, perchè è meno vigliacca di quello che sembra.

20 giu 2007

I bagagli che ancora mi porto dietro

La missione a Pordenone, o meglio a Maniago, è conclusa. Sono rientrata a bologna ieri sera, verso le nove. Per molti aspetti è stata entusiasmente, per altri molto meno.
Il Friuli, da quella volta a Cividale qualche anno fa e poi a Trieste, ha esercitato un discreto fascino su di me. Mi hanno colpito i cieli estremamente aperti, i colori netti, l'architettura, le correnti capaci di cambiare in pochi minuti una giornata grigia in uno spettacolo che si accendeva alla luce del sole.

Arrivare in Friuli ha significato prendere un treno da bologna a mestre, un treno da mestre a pordenone, un altro treno da pordenone a maniago.
E veniamo al dunque.

Trenta minuti al binario due della stazione di mestre mi sono bastati per rivivere gli odori, le attese, l'angoscia silente, la cecità delle lacrime di un anno vissuto in veneto. Compresso, impacchettato, dimenticato nel deposito bagagli della memoria e improvvisamente tornato sotto i miei occhi con la potenza di uno schianto.
Quella stazione, non l'ho mai dimenticata. Vissuta a morsi. Attraversata alle 6 del mattino e alle 11 di sera di un inverno durato un anno, a distanza di quasi quattro anni stava sempre lì, uguale a come era, pronta per inghiottirmi.

E parlava. Sono quattro anni che ti corro dietro, diceva, e alla fine sei tornata tu.
Fumavo nervosa sul binario attendendo la coincidenza per Udine. Quando il mio treno è stato schedulato con 25' di ritardo mi sono letteralemte piegata. Non reggevo il peso del portatile e della sacca che avevo dietro. Non reggevo il peso inaspettato di quel binario. Di quell'accento biascicato che mi ronzava intorno e sono stata così brava a cancellare un minuto dopo l'ultimo biglietto sola andata diretto verso sud. Di quella stramaledetta unidità.

A Maniago ci sono arrivata in trance. Arrivo in albergo, tutti uguali, tutti anonimi. Sapevo bene che avrei dovuto lavorare fino a tardi. E con quella valigia nello stomaco sapevo anche che sarebbe stata dura.

Non ha senso.
Non ha assolutamente senso fare quello che non vuoi, rincorrere qualcosa che non ti appartiene quando il tuo istinto di dice chiaramente di dare altro.Era questo quello che mi dicevo quando montai sul primo treno diretto a Venezia, per restare ad Oriago di Mira, l'anno più difficile per me, insieme al primo qui a bologna.
Di frequentare un Master in economia e gestione delle imprese per me che sono laureata all'orientale e sognavo gli studi di genere, Derrida e Virilio, non mi fregava nulla. Di essere stata selezionata in una classe di 24 su 100 aspiranti, nemmeno.

La mia unica motivazione era la rabbia. La rabbia contro il mondo che mi aveva respinto, dove per mondo intendo madrenapoli che mi ha cresciuta e mi ha regalato la vita, lontano dai condizionamenti e le pressioni di una famiglia che pur di riscattarsi attraverso di me mi avrebbe ammazzato. La rabbia contro gli aut aut di quella stessa famiglia che da me aspettava delle risposte, delle soluzioni, esigeva l'autonomia finanziaria attraverso il prolungamenmto della dipendenza emotiva. La rabbia contro me stessa che aveva fatto proprio il motto del padre "per avere devi meritare, per meritare devi lavorare, per lavorare devi sudare".

Un anno nero. A sbattere sul codice numerico di formule e grafici che mi attraevano per il loro aspetto estetico e che tenatvo di interpretare intuitivamente, senza conoscere nulla del processo, delle formule, dei presupposti che celavano. A correre di sera sul lungo brenta mentre tra una nebbia e l'altra mi convincevo che avevo fatto la cosa giusta, che non avevo scelta, che dovevo lavorare. E per oltre un anno, anche fino al primo anno qui a bologna, quel periodo era un tabù. Uno scandalo che non potevo sopportare.

Completamente disintegrata. Sognavo di avere una famiglia ed ero nel covo di quelli che della carriera avevano fatto il loro totem. Desideravo andare in una direzione e mi riempivo di veleno contro tutti e tutto per esserni trovata a dover correre verso la direzione opposta. Niente aveva senso per me.
Fino a quando al culmine di questo delirio esistenziale mi sono ritrovata immobile.
Scappare dal covo degli aziendalisti veneti era questione di sopravvivenza. Ma per andare dove? Tornare a Napoli era immergersi nel sangue di una ferita che non si sarebbe mai più chiusa.
Non mi sono mai sentita così sola in tutta la mia vita. E' stato allora che ho smesso di rispondere alle telefonate dei miei. Volevano risposte che non avevo, credevo. Volevano risposte che io non cercavo, dico adesso.

Bologna era un altro esperimento. Dettato dalla disperazione, d'accordo, ma era un esperimento e in quanto a questo, il comitato grandi esploratori dovrebbe darmi una medaglia.
Smisi di tafazzarmi le palle e mi ritrovai a 25 anni a ragionare sul fatto che ormai non aveva importanza su come ci ero arrivata, non aveva importanza tutta la rabbia se rivolta contro di me, non aveva senso continuare a ripetermi che non avevo scelta quando tutto quello che avevo fatto, tutto, era il frutto di una scelta mia.
Capii che la differenza stava nella conspevolezza.

Capii che non stavo al mondo per obbedire all'ideale che mi ero costruita di me e degli altri indotta da un'educazione che mi voleva vincente o nessuno secondo i parametri del rampantismo. Maschia nel lavoro, come mio padre avrebbe tanto desiderato, e femmina fuori dall'ufficio. Dove per femmina s'intendeva il sunto pratico del corso di formazione in servizi domestici (anno di immatricolazione 1987, preside di facoltà mia nonna), totale abnegazione e paura del mondo (anno di immatricolazione 1977 - ad honorem -. preside di facoltà mia madre).

Dormivo tutte le notti con la radio accesa. Rai Stereo 2. Anzi, non dormivo. Con quel ronzio musicale in sottofondo che mi faceva saltare appena una sequenza di note mi strappava da uno svenimento all'altro. Non distinguevo il guiorno dalla notte. Era tutto uguale. Senza cielo. Senza emozione. Fredda razionalità che mi permetteva di controllare l'esterno - il lavoro, gli amici, la famiglia, l'apparenza di una vita tranquilla e piacevole - e il maremoto di sincera disintegrazione che mi ribolliva dentro e che mi avrebbe travolta.

Poi una notte la radio mi strappò dal sonno controllato.

Ho visto la gente della mia età andare via
lungo le strade che non portano mai a niente.
Cercare il sogno che conduce alla pazzia
nella ricerca di qualcosa che non trovano
nel mondo che hanno già.

Lungo le notti che dal vino son bagnate
dentro le stanze da pastiglie trasformate
lungo le nuvole di fumo di un mondo fatto
di città essere pronto ad ingoiare la nostra
stanca civiltà e un Dio ch'è morto:

ai bordi delle strade Dio è morto,
nelle auto a presa rate Dio è morto,
nei miti dell'estate Dio è morto.



Mi han detto che questa mia generazione
ormai non crede in ciò che spesso è mascherato
con la fede, nei miti eterni della patria e dell'eroe
perché è venuto ormai il momento di negare tutto ciò
che è falsità, e per il fatto di abitudine e paure, una politica
che è solo far carriera, il perbenismo interessato,
la dignità fatta di vuoto, l'ipocrisia di chi sta sempre con la
ragione e mai col torto è un Dio ch'è morto:

nei campi di sterminio Dio è morto,
coi miti della razza Dio è morto,
con gli odi di partito Dio è morto.


Ma penso che questa mia generazione è preparata
a un mondo nuovo e una speranza appena nata,
ad un futuro che ha già in mano, a una rivolta senza armi
perché noi tutti ormai sappiamo che se
Dio muore per tre giorni e poi risorge,

in ciò che noi crediamo Dio è risorto,
in ciò che noi vogliamo Dio è risorto,
nel mondo che faremo Dio è risorto.

"L'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto". Il cuore si è fermato. Il torto per me era essere se stessi. Scegliere piuttosto che farsi scegliere. Essere consapevole piuttosto che adagiarsi su un "non lo so", un "è tutta colpa mia".

Da allora ogni volta che mi capita di ascoltare questa canzone, l'emozione mi esce dagli occhi sotto forma di acqua di mare.

Dio è risorto. Anche oggi, anche grazie al veneto che non mi fa più paura.



La strana miscela

Giugno, 20/2007

Non un modo facile di iniziare se si tratta di sè stessi. Al momento sono qui che cerco di contenermi tra ansie e paure del passato che non vorrei turbassero il presente. Non è facile, per l'appunto. Ho un temperamento emotivo e sono felice di non indossare maschere. Non mi riuscirebbe di tenerla su per più di 5 minuti. I pori della mia pelle iniziaerebbero a ribellarsi.
Dovrei ricominciare a correre, ottimo modo di combattere l'ansia. Almeno, su di me funziona. Correre. Il vento. Sembra tutto dannatamente più semplice. Il lavoro, le tensioni, gli incomprensibili enigmi quotidiani: tutto viene macinato, attraversato, superato come i km lungo il percorso; lavato via con il sudore; vaporizzato ed esitinto nell'aria, lontano da sè.
Sì, dovrei ricomiciare. E sono già in ritardo con la mia abitudine di riprendere a correre a maggio dopo una lunga pausa iniziata a novembre. Non è la pigrizia. E' l'immobilità del caccaitore che aspetta la preda. Il silenzio antecedente l'inizio di un qualcosa diportentoso. Stasera farò un'insalata mista lo so: metterò dentro un mucchio di parole, emozioni, sensazioni a mò di verdurine e le mescolerò insieme con la dovuta approssimazione. Prima o poi prenderò in mano ognuna di queste e le osserverò da vicino, ci metterò la giusta dose diintensa passione e me ne disfarò.