Diana era in ritardo. Dafne l’aveva chiamata al telefono quasi subito dopo il lavoro, ma Diana era così, veniva quando le pareva.
E, come sempre, era impeccabile. I tacchi su cui dondolava decisa. La severa alternanza di grigio e nero nell’abbigliamento rigoroso. Il trucco essenziale – nero anche quello – solo rimmel, nota Dafne, che provava ad immaginarla senza quel tratto ebano. Si chiedeva come sarebbero stati gli occhi di Diana privi di quell’ evidenziatore da primo piano che ne faceva due fanali che divoravano il viso.
Un bacio di misura. Affettuoso ma a debita distanza. Si siede sulla sedia bianca, Diana. Inclina leggermente la testa verso destra scoprendo un collo nervoso, i capelli ordinati in uno chignon impeccabile mentre si accende una Cartier con un accendino di metallo color canna di fucile, anche quello coordinato con l’abbigliamento. Un altro feticcio della sua implacabilità.
“Ti faccio un caffè?” Dafne aveva passato la giornata a casa. Indossa la tuta d’ordinanza da week end. Pantalone blu. Felpa verde. La stessa che indossava ai tempi della scuola. Aveva cercato di fare un po’ d’ordine, non solo in superficie, e stirare le camicie per la settimana mentre sussurra a bassa voce un pezzo di Sinatra. Come sei antica, l’avrebbe apostrofata Diana.
“Volentieri, sono solo al quarto oggi e per venire da te ho rimandato una riunione” sottolineò con una nuvola di fumo.
“Lavori anche questo sabato?” chiede sorpresa Dafne.
“Io lavoro sempre, mia cara, non vedo come sia possibile evitarlo, del resto. Il mio è un lavoro di responsabilità. Non oso pensare cosa accadrebbe se un giorno non andassi in ufficio. Ti ricordi il mese scorso? Quella maledetta influenza? Nel giro di una sola ora, almeno una trentina di messaggi in segreteria. Sono indispensabile agli azionisti”
“E gli azionisti sono indispensabili a te” inserisce ironica Dafne.
“Perché, tu non lavoravi oggi?”
“Ho provato, ma non ho combinato niente di buono. Lo sai com’è, quando non è giornata non è giornata. E per fortuna, non è quasi mai giornata nei week end” prova ad abbozzare Dafne, con un mezzo sorriso.
Diana la guarda impassibile. Aspetta altre parole.
“Beh, comunque grazie di essere venuta...” velocemente tira ad indovinare. E poi “Metto su un po’ di musica, ti va?”
Non attende risposta. Accende il fornello per il caffé. L’indice precorre la pila di cd di fianco allo stereo in cucina. Si ferma su Diana Krall. Sì, qualcosa di morbido, pensa Dafne.
La musica si diffonde lentamente. Le si addice questo jazz, pensa Dafne, mentre osserva Diana abbassare gli occhi in cerca di un rifugio in ogni direzione.
“La tua solita musica di antiquariato?” esordisce sprezzante l’amica.
Dafne sorride. “Se non ti piace, posso cambiarla…aspetta qualche minuto però prima di dire che non ti piace.”
Era sempre così con la musica. Diana ascoltava poco. La musica non le piaceva. Non le piaceva nemmeno il silenzio. Ma più di tutto, non le piaceva non essere informata.
Diana, infatti, era costantemente aggiornata su tutto.
“Sei peggio di Wikipedia” la prendeva in giro Dafne. Diana leggeva i best seller che riempivano le classifiche sui settimanali. Acquistava regolarmente le nuove uscite alle Messaggerie Musicali. Conosceva molta più musica ed autori di quanti Dafne potesse immaginare. Ma non riascoltava mai lo stesso cd più di una volta. Non leggeva mai lo stesso libro più di una volta. Oltre che, naturalmente, leggere tutti i giorni la rassegna stampa per la quale aveva preteso ed istruito appositamente una stagista.
“Quindi, cosa c’è tesoro di tanto importante? Mi sono preoccupata per te, sai, quando mi ha telefonata..”
“Ah….ma no, niente di grave…è che…volevo sentire come stavi, raccontarti un po’ di cose…” imbastisce Dafne mentre versa il caffé in due tazzine di vetro, cercando di ricordare cosa fosse acceduto quando l’aveva chiamata.
Con Diana era sempre così. Con Dafne era sempre così. Un nuovo traguardo o un incontro per la prima, un sogno o un’emozione incontenibile per la seconda, ed entrambe sentivano l’urgenza di ritrovarsi l’una di fronte all’altra.
Ma i sogni e le emozioni sono come le onde. Arrivano e svaniscono. Provi ad afferrarle e ti restano solo le mani bagnate che sanno di sale. Poi il sale asciuga l’acqua. E le mani ti restano come la superficie della luna. Con un sottile tatuaggio di crateri cristallini che scivolano via senza che tu te ne accorga, pensa Dafne.
“Ho fatto un sogno stanotte” dice Dafne “ero in un agriturismo, con Dimitri. C’eri anche tu. Anzi, credo di essere stata lì per te. C’era uno dei tuoi super meeting ma finivi presto e dicevi che dopo si andava al mare con gli altri. E mentre tu eri in riunione io e Dimitri facevamo un giro. Poi il cielo si copre di nuvole e c’è un sacco di gente che comincia a scappare lungo i corridoi, lungo le scale. Ci affacciamo alla vetrata dell’agriturismo e vediamo arrivare degli elicotteri. Da basso c’erano dei ragazzi, era una specie di manifestazione…tipo uno sciopero…sai. Quei ragazzi, agitavano delle palme, degli ulivi, ma che cosa stupida, insomma, delle robe così.
E all’improvviso, da quegli elicotteri comincia ad arrivare giù dell’acqua e del fumo per disperdere i manifestanti..”
Diana ascolta inespressiva. Accende un’altra sigaretta.
“E poi” continua Dafne, raccogliendosi lentamente i capelli con un elastico, “improvvisamente siamo al mare. Il cielo è ancora coperto. L’acqua di metallo, ma calda. C’erano le alghe, ma io e Dimitri facciamo il bagno lo stesso. Ti vedo arrivare…ah, e c’era anche la tua collega, come si chiama, la bionda con gli occhiali a farfalla…”
“Ma chi, la Trepagnetti?” chiede Diana con sospetto.
“ Sì, sì proprio lei!” esulta Dafne
“ E’ una delle mie segretarie, Dafne, non una collega” la corregge Diana.
“Ah, non me lo ricordavo…comunque, sì, arrivava lei e pensavo ecco, adesso arriva anche Diana, chissà se ha saputo qualcosa di tutto quello che è successo stamattina…e poi tu arrivavi e mi vedevi, ma andavi dall’altra parte della spiaggia.. e non ricordo più, non credo che riuscissimo a parlare..che sogno strano, eh?”
Dafne non sa cosa aggiungere. Non sa nemmeno perché ha raccontato quel sogno.
La solita sconclusionata, pensa Diana. Per questo ha un lavoro precario. La vorrei vedere in banca, a reggere le onde d’urto del mercato, dei clienti, degli azionisti. Non resisterebbe nemmeno un minuto. Nemmeno al telefono. Perché lei lavora con la musica. E come potrebbe reggere? Fa la pubblicitaria – ma che lavoro inutile…la sua cioccolata venderebbe da sola senza le idiozie che scrive. No… sei una cara amica Dafne – tu hai bisogno di me- ma non saresti mai nemmeno una segretaria nel mio ufficio. Non hai nemmeno un’idea di cosa siano l’efficienza e la precisione.
“Sempre fervida la tua fantasia..” sostiene Diana “potresti usarla come idea per il tuo lavoro…”
“Ah” la interrompe Dafne. Si avvicina allo stereo, alza il volume. Diana Krall canta un pezzo di Sinatra, lo stesso che canticchiava silenziosa alla mattina, mentre stirava le sue camicie colorate. “Senti che bella questa, te la ricordi?”
“Certo” risponde Diana. Non ha idea di chi sia questa Cral – si scrive così, come le associazioni dopolavoristiche? Né di cosa stia cantando ma è sicura di averlo già ascoltato, non può non averlo già ascoltato almeno una volta.
“E…con Dimitri? Come vanno le cose, ancora a discutere del sesso degli angeli?”
Dafne abbassa lo sguardo. Poi mette i suoi occhi in quelli di Dafne. Come sono neri, come sono profondi, non vedo niente. Si pente un istante dopo. Ecco, io non vedo niente e lei ha già visto tutto. Tutto quello che le basta vedere. Sa già tutto.
“Come va…come sempre… E’ in Giappone, lo sai? Sta girando una serie di spot per una multinazionale…E’ partito lo scorso giovedì…ci siamo sentiti, è molto contento..ha detto che la prossima volta, avendo un po’ di tempo per organizzarsi meglio, andremo insieme!”
“La prossima volta? Bene..era ora…se non altro non ti ricoprirà di fiori come al solito…”
Parla sorridendo – quel sorriso implacabile – e indica il vaso stracolmo di orchidee in bella mostra sulla mensola.
“Ah, quelle…sì, visto che belle? Le hanno consegnate ieri sera, vengono da Tokyo”
E Dafne guarda quei miracoli delicati. I petali – una geometria perfetta - bianchi, orgogliosamente macchiati di cremisi e indaco, macchie e striature che facevano di quelle creature vegetali un’opera d’arte perfetta.
“Sì, sono di moda adesso…” replica Diana “ Ma in casa non le terrei mai, sai com’è…io a casa non ci sono, con il lavoro che faccio è già tanto che la mattina sappia in quale città mi sto svegliando. Le tue orchidee morirebbero nel giro di pochi giorni…” Tollero solo le calle, Dafne, dovresti saperlo. E infatti non sono fiori. L’ho letto su Donne e Botanica Hi-Tech. Le calle sono foglie. Appartengono al fusto. Alla pianta. Sono così essenziali. Non odorano nemmeno. Che fronzoli inutili, i fiori.
“Non è vero…le orchidee sono molto longeve..”
“Sono fiori, Dafne.” E spegne la sigaretta piantandole gli occhi negli occhi.
Con una impercettibile rotazione del capo, porta in avanti il mento, quasi a farsi avanti – quel viso lungo, affilato, mediorientale – quasi un morso.
Dafne non si muove. Gli occhi mordono. Pensa. I fiori, mordono.
“Diana, lo so che Dimitri non ti piace” riconosce Dafne.
“Non deve mica piacere a me” sorride l’amica con distacco.
“Non dico questo. Dico che lo so, lo sappiamo, che ogni volta che mi chiedi di Dimitri, trovi sempre una ragione per biasimarlo…d’accordo, non deve piacerti per forza, ma dopo tre anni…potresti almeno ammettere che forse ti sei sbagliata sul suo conto..”
“Non c’entra Dimitri…” la rassicura Diana con il sorriso “E’ che io e te siamo diverse. Io i maschi li uso, è vero, prendo quel poco che si può prendere da loro di buono e penso a me, alla mia vita, al mio lavoro. Tu…tu te ne stai lì a credere che dividersi la vita con qualcuno sia normale. Tutto qua. Non saremmo così amiche altrimenti, no, se non fossimo così diverse?Io sono il tuo terzo occhio e tu sei il mio”
Dafne si agita. Gira e rigira tra le dita la chiave del mondo, una piccola chiave d’argento adornata da una mongolfiera che ha trovato sul pavimento mentre riordinava alla mattina – un ciondolo appeso ad un bracciale, forse, uno dei suoi? Di qualcuna che era passata da lì?
“Io…non so…voglio dire, sì, siamo diverse, ma tu non ti dai nemmeno il tempo di conoscerli gli uomini che frequenti…li pianti dopo quanto, due, tre settimane?”
“Andiamo Dafne, non diciamo assurdità..” si volta di lato Diana, contraendo la mascella.
“Capitan Voletti non era mica uno stupido, scusa, era così gentile, aveva anche già un figlio…e tu lo vuoi un figlio no? Eri a posto!”
“Ma chi, il pilota?”
“Sì, quello che ti ha portata a Vienna, al concerto di Natale..”
“Ti ricordo che Capitan Voletti non faceva altro che parlare di aerei, era così pesante.. e poi, rozzo. Mi avrà anche portato al concerto di Vienna, ma l’hotel sembrava la casa di mia zia Domitilla. Senza un minimo di personalità. Nemmeno l’idromassaggio in camera! Ma per favore, non aveva capito con chi aveva a che fare…”
“E va bene, tu sei più sofisticata..ma allora, l’onorevole Clementio? Lui era così colto, era così….avvocato…Ti sei stufata anche di lui!”
“Ti credo! Mastellucci non perdeva occasione di fare processi anche al ristorante…non sai che imbarazzo. Alla cena di inaugurazione della Loggia dei Togavolponi ha sindacato mezz’ora sulla selezione dei vini con un sommelier. Non mi vedeva nemmeno, io che avevo sudato 5 settimane per entrare in quell’abito da sera Chanel 42.”
“Sì, ma quando ci parlavi di diritto commerciale ti piaceva e come! E poi, sono venuta con te a comprare quel vestito: eri una favola, sembravi un’attrice..” protesta Dafne.
“Appunto, l’onorevole, credeva di potermi insegnare il diritto ed espormi come un trofeo. Tu cosa avresti fatto al mio posto, scusa?”
Dafne ammise con lo sguardo la conseguenza logica. Voleva aggiungere “Io non sarei mai uscita con uno come l’onorevole Clementio – si vedeva lontano un miglio, era uno specchio. Rifletteva quello che volevi vedere. Ma Dafne tace. Sta innervosendo Diana e Diana ha bisogno di parlare.
“Anche Telemaco Sanders, te lo ricordi? Sembrava così sensibile, così…intellettuale..”
“Telemaco Sanders? No…non me lo ricordo..”
“Dai, rientravo da quella riunione a Monaco. In aereo. Quello del colpo di fulmine….ma come non te lo ricordi? Ti ho chiamata alle tre di notte per raccontarti tutto.”
Gli occhi di Dafne, occhi d’acqua, sempre lucidi, sempre in bilico tra mare e orizzonte, testimoniano una vaga incertezza.
“Telemaco è quel tipo che insegna all’università. Semiotica. L’assistente del Professor Fragore. Io ho detto qualcosa di difficile, giusto per metterlo alla prova, e lui subito ‘Io ti parlo del desiderio e tu dell’oggetto mancante’….”Diana solleva le mani. Entrambi gli indici puntati come antenne a rimproverare la memoria corta di Dafne “Ma dai, Lacan, no? E’ ovvio, ci siamo presi subito con la testa!”
“Ah…” finge di ricordare Dafne “ ed eri tu quella che lo metteva alla prova?”
Ricorda solo qualcosa di quella telefonata notturna. E non erano le parole di Diana. Erano i suoi pensieri. Eccoci, un’altra vittima. Se riesce a impolpettarlo con le sue chiacchiere, lo accalappierà come si fa con i cani. E se lui è più debole o più furbo ed abbaia a comando, potrebbe anche andarci a cena. Ma lei ci riesce. Diana ci riesce sempre. Del resto, è così affascinante. Ci gioca un po’, li mette sul palco a recitare un monologo solo per lei, poi quando la distanza si accorcerà troppo, si stuferà e lo abbandonerà in autostrada. Come un cane. Ma come fa a non vedere?
“E cosa aveva che non andava?”
Gli occhi di Diana diventano ancora più neri. “La testa. Cioè, un gran cervello, intendiamoci, ma Telemaco aveva solo quello. Magrolino, minuto, perfino più piccolo di me…ma ci vedevi insieme?”
Diana accende la terza sigaretta.
“Non c’è niente da fare. E’ il mio destino. Lo porto nel nome, no? Diana come la dea della caccia” ride sprezzante. “ O la dea della guerra. Partorita dalla testa di Giove…ma che ne vuoi sapere, tu sei così…così….naive. Frequenti da tre anni uno più spiantato di te, non sai nemmeno dire perché state insieme, non hai idea di cosa significhi la concretezza!”
“Diana” Dafne avvicina la sedia a quella dell’amica. Si siede e sporgendosi verso di lei le prende una mano.”Io ti voglio bene” Sempre perfette le sue mani – la french una volta la settimana, come il parrucchiere, l’estetista, le terme. “Così come sei, davvero.”
Si guardano. Sono una lo specchio dell’altra. Due vite che potevano andare nella stessa direzione e che per una ragione o per l’altra avevano preso pieghe diverse. La variabile incontrollata del mercato, avrebbe diagnosticato Diana. Un gran colpo di culo una volta tanto, avrebbe ammesso Dafne.
Diana ritira la mano. Quel contatto la infastidisce, le sembra un’elemosina . E non le serve la compassione di nessuno. Tanto meno quella di Dafne.
“Certo, lo so.” Retorica e sbrigativa. La stessa inclinazione distante con la quale aveva accettato il caffé. “Ma siamo qui per parlare di te, no? Quindi, cosa dicevi di Dimitri? Quando andrai in Giappone con lui?”
“Non lo so….si è solo detto che prima o poi ci andiamo insieme…”
“Bene” sorride a denti stretti Diana. Con eleganza fa vibrare il bracciale al polso sinistro. Guarda il suo scintillante Baume et Mercier. “Si è fatto tardissimo, ho un appuntamento al Circolo Tantrico Ayurvedico”
Un bacio. Di misurata distanza. La promessa di risentirsi presto.
Dafne chiude la porta. Governa la cucina. Ripone la tazzine nel lavello mentre dalla scale sale il riverbero dei tacchi di Diana. Veloce. Determinato. Senza scuse.
Il caffé. Diana accetta il caffé e l’amore con la stessa voce. Gli stessi occhi.
Si asciuga le mani che non tollerano guanti e guarda le orchidee pensosa.
Il Giappone. Ma ci andrò mai con Dimitri in Giappone? Sono tre giorni che non lo sento. Ho provato a chiamarlo stanotte per il fuso ma non mi ha risposto. Sarà felice? Starà bene? Mi ama ancora?
I miracoli immacolati orgogliosamente striati di colore vibrano alla luce del tramonto che filtra le sue ultime diffrazioni dalla finestra.
Diana Krall smette di suonare.
La radio, sostituendosi al cd urla un pezzo rock.
What if I say that I’m not like the others
What if I say that I’m not just another one
Of your plays
You’re the pretender
What if I say that I’ll never surrender
Dafne sorride. Socchiude gli occhi e sente il calore.
Devo ricordarmi di chiamare Diana più spesso.